Roberto Benigni, Umberto Galimberti, Alberto Moravia
Buongiorno,
Spero abbiate trascorso un buon fine settimana, ecco cosa ho letto oggi:
Canzone del giorno: Pantheon, Roberto Benigni
Al Pantheon la sera si vedono le attrici
Si parla con gli amici a tarda primavera
Al Pantheon by night si rompono i bicchieri
Ci sono gli stranieri, oh yes, okay, all right
Il Pantheon è famoso, ci sono due bar ai lati
E son sempre affollati anche il giorno di riposo
Ma la frase ricorrente di ogni frequentatore è
"Dio mio, che brutta gente, il Pantheon che squallore."
Al Pantheon c'è la Flavia, i Turchi e gli Afgani
C'è Ungari Melani e si parla di Moravia
Il vino e i tarallucci, tutto si può ordinare
E poi può capitare Bernardo Bertolucci
Con la fontana al centro il Pantheon che eleganza
Però la maggioranza non l'ha mai visto dentro
Chissà che cosa c'è, voragini o assassini
O forse un altro bar con tanti tavolini
E al Pantheon c'è sorpresa di mille situazioni
Ferreri, Antonioni senza la cinepresa
E alle donne dai del tu, gli puoi toccar le cosce
Poi passa qualche Porsche e qualche BMW
E da un improvviso silenzio
Uno schianto, è finita Massenzio
Compaion dei gruppi ordinando Bourbon
Al Pantheon (al Pantheon)
Al Pantheon (al Pantheon)
Se gli amici son spariti a mezzanotte e un quarto
Vieni al Pantheon che è un reparto degli oggetti smarriti
Ci trovi Consuelo, Caliano, Fabio Gamma
Ci trovi la tua mamma, ci trovi il mondo intero
E ci vendono l'anguria ma appena si fa tardi
È un disordine di sguardi intrisi di lussuria
Un playboy io copio e guardo una ragazza
Ma in mezzo a questa piazza non mi si fila proprio
E al Pantheon la sera io divento un poco triste
Di attrici non ne ho viste, fa freddo a primavera
Il vino e i tarallucci non mi hanno ancor portato
E poi non è arrivato Bernardo Bertolucci
Sì ma è pieno d'allegria, le 4, è ancora presto
Apre un bar a San Silvestro e tutti vanno via
Son solo, che farò? Di già mi sento male
Vorrei proprio volare in vetta al Pantheon
Son solo, che farò? Di già mi sento male
Vorrei proprio volare in vetta al Pantheon
Son solo, che farò? Vorrei proprio volare in vetta al Pantheon
La foto della settimana
Lancio di palloncini colorati in occasione della Giornata mondiale del Cuore. Un palloncino per ogni battito. I bambini dell’associazione nel cortile dell’Ordine dei medici di Palermo hanno lanciato i loro palloncini colorati, in ricordo dei loro piccoli coetanei che non ce l’hanno fatta. Foto dell’associazione Piccoli Battiti
Parole nomadi: Anima, Umberto Galimberti
Nuovi racconti Romani: Una donna sulla testa, Alberto Moravia
Deciso a tutto pur di lavorare, accettai finalmente di diventare fattorino al servizio di un certo Crostarosa che aveva un'agenzia di viaggi e turismo dalle parti di via Veneto. Questo Crostarosa era un bell'uomo, con la faccia rossa e i capelli d'argento; gli occhi li aveva neri sotto due cespuglietti di sopracciglia nere come il carbone. Crostarosa doveva averne passate tante; e questa dell'agenzia non era che l'ultima. Sapeva, per esempio, parlare molte lingue alla perfezione: il francese, l'inglese, il tedesco, lo spagnolo e perfino, come scoprii con stupore, una volta che venne all'agenzia un tizio scuro di pelle, con un fazzolettone in testa e un accappatoio addosso, anche l'arabo. Lui non parlava mai della sua vita, ma, come ho detto, doveva averne passate assai: a sprazzi, ogni tanto, veniva fuori che era stato in India o in Brasile, in Inghilterra o in Australia; ma, così, modestamente, come io direi: sono stato a Ladispoli, sono stato a Frascati. Ne aveva passate tante e non era più giovane, anzi quasi anziano, sebbene si vestisse sempre di chiaro, per lo più a quadrettini bianchi e neri, con cravatte e fazzoletti sgargianti. Crostarosa era gentile; ma gentile da non credersi: mai perdeva la pazienza, mai si urtava, mai diceva una parola di troppo, in nessuna lingua, mai smetteva quel suo tono di voce dolce, paterno, entrante, servizievole, affabile.
Aveva una paroletta gentile per tutti: per il tedesco ottuso e pignolo che voleva tutto scritto, tutto annotato, tutto dettagliato; per l'americano rompiscatole e diffidente che aveva paura che gli si fregassero i dollari; per il francese padrone del mondo, insultante di sufficienza; per lo scandinavo di poche parole ma ostinato come un mulo.
Crostarosa ci aveva sul bancone due o tre telefoni ai quali lui rispondeva pur prendendo tutto il tempo appunti e tenendo il ricevitore appiccicato all'orecchio con la spalla. Queste telefonate erano tutte eguali: si parlava di viaggi, si rispondeva sui viaggi e tutto finiva lì. Però, quattro o cinque volte al giorno in media, capitava una certa telefonata differente, non di viaggi, per cui Crostarosa gettava via carta e matita e ascoltava serio e rispondeva serio e non si occupava più dell'agenzia né dei clienti. Queste telefonate erano lunghe e si vedeva che Crostarosa friggeva dall'impazienza, ma lui era gentile, come ho detto, e non diceva niente per farle finire o, quanto meno, abbreviare. Si limitava ad ascoltare, dicendo ogni poco qualche parola, guardando intanto alla porta a vetri e, se entrava qualche cliente, sorridendo come per dire che avesse pazienza un momento, con un bel sorriso pieno di denti finti, perché ci aveva la dentiera, Crostarosa, bianca accecante, da giovanotto di vent'anni. Finalmente all'altro capo, la persona finiva di parlare; e allora Crostarosa deponeva il ricevitore, non senza però avergli prima lanciato un'occhiata quasi di rimprovero; e non senza sospirare, in maniera triste, senza rancore, però, gentilmente, dolcemente, come il solito suo.
Nell'ufficio che era una stanzetta stretta e lunga da metterci piuttosto una vendita di coni gelati che un'agenzia di viaggi, eravamo in tre: una signorina brutta, di mezza età, coi capelli crespi tinti, gli occhiali, e una punta di malignità sulla punta del nasino puntuto, che stava alla macchina da scrivere; Crostarosa che faceva tutto lui; ed io. La signorina che si chiamava Peverelli, doveva sapere benissimo chi fosse la persona che telefonava a Crostarosa, perché, ogni volta che quella telefonata incominciava, lei interrompeva di battere a macchina e si metteva là, dietro il suo tavolino, a godersi lo spettacolo della pazienza di Crostarosa con una certa aria tra la malignità e il compatimento che, a sua volta, era tutto uno spettacolo. Forse era innamorata di Crostarosa, la signorina Peverelli. Certo gli voleva bene; e ogni volta che lui deponeva il telefono, lei tirava un sospiro e scuoteva la testa, in una certa sua maniera, come per dire: "Poveretto, lo compatisco... ma esagera con la pazienza... se rispondessi io, sarebbe tutta un'altra cosa." Eh, ci sono facce che sono parlanti e dicono tante cose, anche se tengono la bocca chiusa. La signorina Peverelli aveva una di queste facce.
Io non capivo niente; poi, finalmente, un giorno, capii tutto in una sola volta. Crostarosa era uscito per andare a fare certi biglietti presso un'agenzia di navigazione aerea; la signorina, siccome non erano ancora le quattro, non c'era; io, in quella calda giornata di giugno, me ne stavo intontito, dietro il banco, guardando alla poca gente che passava dietro i vetri. Squilla il telefono, stacco, una vocina dolce, proprio bella, una vocina d'angelo, domanda: "C'è il signor Crostarosa?" Risposi subito, come mi era stato raccomandato: "Non c'è... è andato all'agenzia della navigazione aerea... sarà qui tra un momento."
"Ma io con chi parlo?"
"Con il fattorino, Luigi... e lei, scusi, chi è? Il signor Crostarosa mi ha raccomandato di prendere tutti i nomi di quelli che telefonano."
"Io sono la signora Crostarosa... Luigi, lei si annoia?" A questa domanda, dico la verità, rimasi a bocca aperta. Balbettai: "Eh, signora, così così..." E lei: "Luigi, io mi annoio, soffoco, non ne posso più... Luigi, dica al signor Crostarosa, quando torna, che è inutile che mi telefoni perché io mi sono buttata dalla finestra." E, click, giù il telefono. Io non ci ero ancora abituato; e cosa, dopo questa dichiarazione così decisa, rimasi proprio male. Quella si buttava dalla finestra e io non potevo farci niente, non potevo né telefonarle perché non conoscevo il numero di casa di Crostarosa, né andarci perché non conoscevo l'indirizzo. Passa mezz'ora; Crostarosa rientra nell'ufficio; io mi precipito: "Presto, signor Crostarosa, presto... sua moglie ha telefonato poco fa che si buttava dalla finestra." Lui mi guardò senza turbarsi né dir parola; depose in ordine in un cassetto i biglietti aerei che teneva in mano; poi, con calma, prese il telefono, formò il numero. Subito lei gli rispose; e lui, dopo un poco, disse: "Cara, perché hai detto quella brutta cosa a Luigi? L'hai spaventato." Una pausa, poi: "Ma no, cara, angelo mio, no, tu non devi farlo, se mi vuoi veramente bene, come dici. E la bambina, non ci pensi alla bambina? Perché, invece, non vai a prendere un tè in qualche albergo? Perché non telefoni ad Alice per una canasta?" Nuova pausa. "Ma no, ma no, ti prego, ti supplico, non farlo, tu mi vuoi far morire di dolore... pensa alla nostra bambina... Una idea: perché non vai a vedere quel film tanto bello, c'è l'aria condizionata, ti divertirai." Ancora una pausa. "Ma no, no, no, tu questo, nonché dirlo, non devi neppure pensarlo... ci sono io che ti voglio tanto bene, c'è la bambina... ci vuoi lasciare soli?" E via di questo passo.
Poi, dopo tante altre telefonate, l'ho saputo quello che lei rispondeva alle suppliche e alle raccomandazioni di quell'uomo così gentile: "Mi butto dalla finestra, si, mi butto, mi butto" Era un'ossessione, questa della finestra. E lui, paziente, dolce, cercava di smontarla, di consolarla; e alla fine ci riusciva perché, insomma, lei dalla finestra non ci si buttava.
Basta, venne luglio e Crostarosa fece un sacrificio, perché non era ricco e mandò la moglie con la governante e la bambina a Cortina d'Ampezzo, in uno dei primi alberghi. Ci credereste? Lei continuò a telefonargli, nello stesso modo, soltanto che adesso, invece che da via Caroncini, a Roma, dove abitavano, le telefonate gliele faceva da Cortina, a tante centinaia di lire ogni tre minuti e lui, poveretto, che lo sapeva che il denaro correva, sudava e fremeva ma lo stesso, sempre per il timore che lei si buttasse davvero, non cercava di abbreviare le comunicazioni ma la consolava e la pregava. Da Cortina d'Ampezzo lei passò al Lido di Venezia e anche di lì, siccome anche lì si annoiava e le finestre erano alte, minacciava, con le interurbane, di buttarsi; e Crostarosa, dall'ufficio, a Roma, insisteva che non si buttasse e che pensasse a lui e alla bambina.
Passò l'estate, lei tornò a Roma; e ricominciò la stessa solfa; ma forse peggiorata, perché vedevo che Crostarosa era diventato nervoso e quando lei gli parlava al telefono persino si dimenticava di sorridere ai clienti che entravano. Un giorno che lui era sprofondato nello studio di un orario internazionale per conto di un americano che voleva andare in Persia, ecco che lei telefonò, al solito. Crostarosa prese il ricevitore, disse brevemente: "Guarda, angelo mio, non ho proprio tempo... ti mando Luigi con una lettera;" e tolta da un cassetto la lettera già pronta, me la diede raccomandandomi di portarla a sua moglie, a via Caroncini.
Ci andai. Trovai una bella casa moderna, salii con l'ascensore al secondo piano, entrai in un appartamento elegante, signorile, tanto che pensai: "Ce l'avessi io un appartamento come questo... certo non penserei di buttarmi dalla finestra." La cameriera, giovine e bellina, con il grembiale di pizzo e la cuffia, mi introdusse in un salotto spazioso. Seduta sul pavimento, assorta a giocare con una bambola e un orso di pezza, c'era una bambina bionda di forse quattro anni, con un bel viso tondo, rosso di salute e due occhi azzurri che sembravano due fiori. In una poltrona, davanti la finestra aperta, c'era la signora Crostarosa.
Dico la verità, me l'ero immaginata tutta diversa nonostante la vocina dolce: scarmigliata, esaltata, una strega. Vidi invece una donna molto giovane, avrà avuto ventiquattr'anni, con un viso delicato, una bocca che pareva una rosa, e gli occhi grandi, scuri, belli, dall'espressione angosciata, però. Si alzò, come entrai, e notai che era alta, elegante, snella. Aveva la mano lunga e bianca, con un anello con un brillante al dito. Disse: "Lei è Luigi, non è vero?... me l'ero immaginato." Quindi prese la lettera e tornò a sedersi nella poltrona, ingiungendomi di non andarmene: prima voleva leggerla. Mentre leggeva, io vedevo le sue pupille trascorrere da una parte all'altra del foglio, muovendosi rapide sotto le palpebre socchiuse e allora capii che lei non era normale perché quelle pupille scintillavano in una maniera strana. Infatti, finita la lettera, ebbe come una crisi di nervi: stracciò la lettera, la gettò a terra, poi si prese il viso tra le mani smaniando e dicendo non so che cosa. Tutto questo senza preoccuparsi affatto né di me che la guardavo, né della bambina che, lei, doveva esserci abituata, perché continuò, zitta zitta, a giocare con la sua bambola e il suo orso. Finalmente, lei cominciò a dire le stesse cose che diceva per telefono: "Mi annoio, mi annoio, non ne posso più, mi butto dalla finestra, sì, mi butto, mi butto." Non sapendo che fare, mi avvicinai, sedetti sopra una seggiola accanto a lei e le dissi: "Signora, non dica questo, lei non deve buttarsi."
"E perché no, Luigi?" domandò lei, pronta, togliendosi le mani dalla faccia e guardandomi con quei suoi magnifici occhi. Dissi: "Perché la vita è bella, signora... guardi me... dormo in un sottoscala, mangio lo sfilatino, ci ho le scarpe rotte... però non mi annoio e non penso a buttarmi dalla finestra."
"Ma voi siete diversi, voi del popolo... almeno avete la miseria a cui pensare... io non ci ho nulla, nulla, nulla."
"Ma signora, lei ha una bambina che è un amore, ha un marito che non vede che per gli occhi suoi, ha una bella casa, viaggia, si diverte... perché vuol buttarsi dalla finestra?" Intanto, pur così parlando, non so come, le avevo preso la mano e lei me l'abbandonò e, dico la verità, io mi sentii ad un tratto tutto turbato, perché era una gran bella donna e io di donne così sinora non ne avevo vedute che al cinema. Dunque, tenendole la mano, continuai, pieno di zelo: "Signora, lei dice che i poveri almeno hanno da pensare alla miseria... ma lo sa lei che è la miseria?... lo sa lei, per esempio, che è la disoccupazione?" E lei, tutto ad un tratto, con uno strillo: "Ma chi più disoccupata di me? Io non faccio nulla tutto il giorno, non so che fare di me stessa, non so dove mettermi... ah, io non ce la faccio più, mi butto dalla finestra, sì, mi butto."
"Signora, provi a lavorare anche lei... vedrà che non si annoierà più." Altro strillo: "Lavorare... ma ci ho provato a lavorare... mio marito mi aveva preso al suo ufficio... battevo a macchina, al posto di quell'odiosa signorina Peverelli... ma io impazzivo lo stesso dalla noia... avrei ammazzato tutti quegli imbecilli che venivano a chiedere informazioni sui viaggi... e lo dissi a mio marito: prenditi un'altra segretaria, altrimenti impazzisco e uno di questi giorni salgo al piano di sopra e mi butto dalla finestra." Pensai: "E dagli con questa finestra;" quindi, sempre tenendole la mano: "Ma l'amore, signora, l'amore lei l'ha mai provato?" e per un momento quasi sperai che lei mi gettasse le braccia al collo e mi dicesse: "Luigi, ti amo, non mi butto più dalla finestra." Invece, non l'avessi mai fatto. Cacciò un urlo: "Per carità, l'amore... mi fa orrore, l'amore... tutti quegli uomini che vanno dietro le donne e dicono tutti le stesse cose... c'è da impazzire... meglio far la segretaria a mio marito, allora... ah, ah, l'amore... non mi parli dell'amore, Luigi." A questo punto per fortuna, ecco, squillò il telefono, lei ci si avventò e disse subito: "Ah sei tu, Gaetano." Era il marito; e io, pensando che adesso ci avrebbe pensato lui a convincerla, indietreggiai fino alla porta e poi uscii.
Discesi le scale pensando: "Che tipo... un tipo così, a pagarlo a peso d'oro, non se ne trova un secondo;" quindi passai per il portone d'ingresso del palazzo. Il portone era proprio sotto le finestre dei Crostarosa, due piani più giù. Come uscivo, tutto ad un tratto, udii un urlo, e quindi, patapunfete, un colpo terribile e un peso enorme che mi cascava addosso e poi capitombolai per terra e svenni e non sentii più nulla.
Rinvenni all'ospedale, in un letto tra i tanti, allineati in due file ai due lati di un camerone bianco. Ero fasciato per tutto il corpo, mi sentivo male e, insomma, la buona suora che mi sedeva accanto, mi spiegò quello che era successo. Lei al telefono aveva detto, al solito "Mi butto dalla finestra, si, mi butto, mi butto"; e Crostarosa, o che avesse perduto finalmente la pazienza, o che fosse nervoso per via dello scirocco, le aveva risposto, per la prima volta: "E buttati." Lei, allora, con la massima semplicità, aveva posato il ricevitore, era andata alla finestra e si era buttata. Per fortuna sua mi era cascata addosso proprio nel momento in cui uscivo dal palazzo. Morale: io ci avevo due o tre costole rotte e lei non si era fatta nulla, salvo la crisi di nervi, perché io le avevo fatto da cuscino. E adesso io ero all'ospedale e lei era a casa.
Poco dopo venne il professore seguito dagli assistenti e da un codazzo di infermieri. Come mi vide, forse perché ce n'erano tanti di malati, disse: "Andiamo bene, giovanotto... siete fortunato... ah, voialtri giovanotti, non ci avete che le donne per la testa." Qualcuno allora gli fece osservare sottovoce che si sbagliava: il suicida per amore stava un letto più in là. Ed io: "Professore, non dica: le donne per la testa... dica piuttosto: una donna sulla testa."
Definizione d'autore: Paesaggio, Salvatore Settis
Paesaggio è l'equilibrio fra natura e cultura. Fra spiagge, monti, colline, pianure come furono un tempo e come sono, popolati di città, di villaggi, di cascine. Ogni paesaggio ha la sua storia: fatta di creatività e di distruzioni (guerre, terremoti, barbarie); di meraviglie e di errori. Questa diversità rispecchia quel che siamo (come il volto di ciascuno è "lo specchio dell'anima"): perciò ognuno ha il paesaggio che si merita. L'Italia fu il "giardino d'Europa", dove l’architettura è una seconda natura, indirizzata a fini civili (Goethe). Prima al mondo, ha posto la tutela del paesagg/o tra i suoi principi fondamentali (Costituzione, art. 9). Ma a questi valori siamo sempre meno fedeli. Quale paesaggio lasceremo in eredità alle generazioni future?
Sfumature: ladro - borsaiolo - scippatore - scassinatore - taccheggiatore
Chi ruba abitualmente, chi vive di furti si definisce genericamente ladroi per estensione il termine si usa anche in riferimento a chi richiede prezzi o compensi eccessivi. Esistono poi altre parole che identificano in modo più specifico i diversi tipi di ladri a seconda del tipo di furto che commettono. Così borsaiolo definisce chi con destrezza ruba nelle tasche o nelle borse altrui portafogli o altri oggetti di valore, specialmente in luoghi affollati o mezzi di trasporto pubblici. Scippatore (da scoppare, vocabolo napoletano che significa "strappare") è invece chi, generalmente in sella a un ciclomotore, strappa con violenza la borsa a una persona e Doi si dà alla fuga. Scassinatore è colui che rompe o forza porte, serrature, finestre, cassaforti allo scopo d'impossessarsi del denaro e degli oggetti preziosi contenuti all'interno. Taccheggiatore è infine chi ruba gli oggetti esposti nei negozi, eludendo la sorveglianza degli addetti alle vendite.
A presto,
Nat